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i divoratori 371


E negli occhi del Commendatore — occhi grigi e penetranti come l’acciaio — passò il lampo d’un sorriso.

— Questo me l’hanno già detto anche a Berlino, — disse Anne-Marie.

— Anche a Vienna, — disse Fräulein.

— Anche a Parigi, — soggiunse timidamente Nancy.

— Appunto perciò lo diciamo anche noi, — disse il giovane Commendatore, passandosi la mano fine sul mento sbarbato.

— Dunque, che cosa ci suonerai? Bada che qui non siamo a Berlino. Qui fingiamo tutti di adorare il classico; e poi, quando lo sentiamo, diciamo: «Com’è bello!» E ce ne andiamo prima della fine, e non torniamo più.

Udendo ciò Bemolle mise sul programma un po’ di Vieuxtemps e di Wieniawski, un po’ di Sarasate e di Paganini. I milanesi accorsero al concerto, e restarono fino alla fine. E si prefissero di tornare ancora.

Ma i «Musicisti Veri» — quelli di cui se ne trovava sempre uno in ogni città (e a Milano ve n’erano quattro), quelli che si prendono sul serio, quelli che parlano della musica come di una sacrosanta e privilegiata malattia, di cui essi soli hanno il diritto di soffrire — quelli scossero le circospette teste con dolore. Che triste cosa udire da uno sbocciante genio qual’era questa bambina, la vilissima musica da virtuoso — l’acrobatismo violinistico, che indubbiamente e indegnamente piaceva al pubblico! Paganini! Vieuxtemps! Ah! quei nomi erano come pugni nel cuore ai Musicisti Veri.

— Oh! — gridavano, — dateci le glorie del Beethoven! Dateci gli splendori di Bach!

E clamavano il loro dolore su e giù per le colonne dei giornali.

Il Commendatore-editore di musica, leggendo queste critiche, sorrise passandosi la fine mano sul mento sbarbato.