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i divoratori 329


Quando fu sera, e che Fräulein era andata a condurre a letto Anne-Marie, il Selvaggio, fumando il suo sigaro, disse a Nancy:

— Ho fatto ciò che mi chiedeste nella vostra lettera.

— Non so più, — disse Nancy.

— L’asilo fiorito e solitario in Italia vi aspetta. Ha un grande giardino e una immensa vista. Quando vi ci avrò installata, parto subito per il Transvaal.

— Oh Dio! — disse Nancy.

— Come dite? — disse il Selvaggio.

— È proprio necessario che andiate così lontano?

— Sì; nella miniera di San Juan c’è qualche cosa che non va. C’è dell’acqua. Avrei dovuto partire molto prima; tre mesi fa, quando ve lo scrissi. Ma questo non vi riguarda, — soggiunse seccamente il Selvaggio.

— È vero, — disse Nancy, molto mite.

— Dunque parliamo di voi e del vostro lavoro in Italia, — disse lui. — Quando contate di partire?

Quella domanda fece scorrere nelle vene di Nancy un fremito di deliziante agitazione. «Quando contate di partire?» Che allettante, che incantevole frase!

— Potrete essere pronta dopo domani?

Anche in quelle parole che balsamo! che diletto! Nancy avrebbe voluto ascoltare eternamente delle domande simili.

Ma egli aveva cessato di domandare, e aspettava ch’ella rispondesse.

Rispose con esitanza.

— Ma... e il violino di Anne-Marie?

Egli aspettò che ella si spiegasse; ed ella spiegò. Anne-Marie sarebbe diventata uno straordinario virtuoso. Anne-Marie era una portentosa rivelazione di genio musicale — il grande maestro stesso lo aveva detto — e doveva quindi restare a Praga, dove vi era il Professore che le