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i divoratori 327


E poi della musica dei vecchi classici italiani, Corelli e Vivaldi: preludii e correnti, gighe e sarabande. Bertolini tornò anche il giorno seguente; e il giorno dopo; e tutti i giorni. Egli era un violinista di second’ordine, e un pianista di terz’ordine. Ma era un musicista di primissimo ordine — musicista nato: con tutte le manìe, e la sensitività, e la pedantesca minuzia, e la eccitabilità del musicista vero. Arrivava timido e corretto, col suo buon viso grasso, placido sotto ai ben spazzolati capelli. E mezz’ora dopo, lo si sentiva per tutta la casa urlare e vociferare, smaniando e battendo i piedi sui pedali.

Ad Anne-Marie piaceva che gridasse. La interessava di osservare le faccie ch’egli faceva quando lei, apposta, suonava delle note sbagliate: lo vedeva scuotere la testa nera e arricciare il naso, e aprire una gran bocca a gridare. Un giorno ella si divertì, in un pezzo scritto nel tono di «fa», a suonare ogni «si» naturale invece che bemolle.

— Si bemolle, — disse Bertolini la prima volta.

Bemolle! — gridò alla seconda volta.

— BEMOLLE! — urlò, frenetico, calpestando i pedali, afferrando con mano febbrile le irsute nere chiome che gli coprivano serrate e crespe la testa come un berretto d’astrakan.

— Cos’ha questo «bemolle»? — chiese Fräulein alzando blandi occhi dal suo lavoro.

Anne-Marie rise.

— Io non so che cos’ha. Mi pare diventato matto!

Così fu dato a Bertolini il nome di Bemolle, che gli rimase per sempre.

Bemolle, che era sopratutto compositore, ora non componeva più. Egli fu ben presto uno dei Divorati. Le sue mattinate erano prese dal Professore. I suoi pomeriggi egli li diede ad Anne-Marie. Arrivava ogni giorno, dopo colazione, e senza dir nulla si metteva al pianoforte. Con accordi di dolcezza conturbevole, con arpeggi fluidi e pre-