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324 | annie vivanti |
Ed ella gli scrisse: «Non posso lavorare. Sono sommersa da un’onda d’indicibile tristezza. Un chimerico desiderio che non ha nome, si abbatte su me, e mi distrugge. Oh, mio amico diletto, prima di partire, venite a portarmi via! Riportatemi in Italia, e chiudetemi in qualche asilo fiorito e solitario, dove io possa riudire la voce della mia fantasia riparlarmi nel linguaggio di mia madre. Mi sembra che colla dolce cadenza latina, anche la voce dell’estro perduto si risveglierà. Talvolta, io sento tale possanza, tale foga di turbolenta ispirazione in me, che mi sembra di poter scuotere il mondo! Ma poi ecco che il mio Genio s’impiglia e s’imprigiona nelle piccolezze, come un gigantesco angelo a cui fossero legate con del filo da cucire le grandi ali fremebonde...»
La porta si aprì, e Fräulein si affacciò solenne e sibillina, con gli occhi appannati di lagrime.
— Nancy! Oggi per la prima volta Anne-Marie suonerà del Beethoven. Vieni a sentire.
Nancy si alzò, rapida, e seguì Fräulein nella sala dove il Professore e il suo assistente erano venuti a dare la lezione ad Anne-Marie.
Il Professore, che non suonava il pianoforte, aveva condotto l’assistente per gli accompagnamenti, e questi sedeva già davanti al Bechstein, dondolando il capo nero e crespo, pronto a cominciare. Anne-Marie era ritta davanti al leggìo, già in posizione col violino alzato. Il Professore, colle mani dietro la schiena, la guardava.
La romanza in fa del Beethoven principiò.
La semplice melodia iniziale fluì pura e piana dalle dita della bimba, e fu ripetuta dal pianoforte solo. L’ostinato crescendo della seconda frase si sollevò gradualmente fino all’appassionata nota acuta, e poi si lasciò ricondurre alla mitezza, dai trilli ritrosetti e teneri — come un uomo incollerito s’intenerisce alla voce di un fanciullo.