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i divoratori 307


Nancy aveva imparato a conoscerlo bene. Non per un istante credette — come aveva creduto in carrozza nel Bois, più di un mese fa — ch’egli parlasse del momento presente. Sapeva che egli vedeva la vita a grandi linee e a vasti tratti, e che non parlava quasi mai di cose piccole e immediate.

— E adesso? — ripetè Nancy, e sospirò.

Egli mise la sua grande mano abbronzata sulla piccola mano di lei.

Era questa la sua prima carezza. Nancy sentì un brivido correrle per tutto il corpo, e cingerle, come una sciarpa fredda, il viso. Egli la guardava coi fermi occhi azzurri e la vide lentamente impallidire sotto al suo sguardo.

— Adesso dovete tornare a casa vostra, — disse lui.

— Sì. Adesso devo tornare a casa mia. — E Nancy si domandò vagamente se casa sua era la pensione nella Lexington Avenue, o l’appartamento di Mrs Johnson nella 82.ma Strada. Concluse che era l’appartamento nella 82.ma Strada, dove il mazzo di orchidee e capilvenere aveva vissuto con lei quasi otto giorni. Sì, era quella «casa sua»! Peg e George sarebbero nuovamente i suoi compagni; e il morto signor Johnson, e il giovane senza mento, e i bambini nudi colle teste grosse, starebbero con lei nelle lunghe e solitarie serate. E Anne-Marie lascerebbe il Gartenhaus di Fräulein Müller e tornerebbe alla scuola gratuita della Settima Avenue.

— A che cosa pensate? — chiese il Selvaggio.

Nancy non rispose subito. Poi disse:

— ... Penso: perchè mai avete mandato, quel giorno, il ragazzo coi fiori e la lettera... la lettera per la ragazza vestita di celeste?... Non mi pare una cosa che assomigli a voi! — E guardando il forte viso freddo, ripetè: — No, voi non mi sembrate uomo da fare una cosa simile.

— Lo so, — disse. E soggiunse ridendo: — Grazie al