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i divoratori 297


Nancy balzò in piedi come se avesse udito un colpo di pistola. Col cuore palpitante fuggì. Si precipitò sotto la portiera, e corse a rifugiarsi nella sua camera, chiudendo l’uscio dietro a sè. No, l’uscio non era chiuso, girò un poco sui cardini e rimase semi-aperto. Nancy lo lasciò così, non osando più muoversi. Udì ribussare più forte alla porta del salotto. Poi udì la porta aprirsi: e qualcuno entrò.

Indi la porta fu richiusa, e dei passi — i passi del cameriere — s’allontanarono per il corridoio.

Qualcuno era lì, nel salotto, a due passi da lei. Qualcuno — un uomo, uno sconosciuto — a cui lei aveva scritto quaranta o cinquanta lettere, e che ella aveva chiamato «Amico mio! Mes amours! Prince Charmant! Mio sconosciuto amore!»

Nancy ritta, immobile, pietrificata dalla vergogna, si era nascosta la faccia nelle mani inguantate di bianco. Non entrerebbe in quel salotto... mai! Neppure se dovesse star qui in piedi degli anni! Mai non avrebbe avuto il coraggio di affrontare quel misterioso personaggio nella stanza vicina.

La situazione diventava ridicola. Il silenzio era teso e intenso in ambe le stanze. Ah! pensò Nancy, quando il flutto di tremila miglia d’Oceano li separava, come si era sentita vicina a lui! Ed ora, con qualche metro di tappeto e una porta aperta tra di loro, egli le era lontano, incommensurabilmente lontano! Era uno straniero, un intruso, un nemico.

Silenzio assoluto. Ma... c’era poi qualcuno, di là?

Sì; c’era. Nancy sentiva che egli era lì, aspettante.

E tutt’a un tratto Nancy ebbe paura. Un folle subitaneo terrore la prese di quel silenzioso uomo sconosciuto — e pensò di fuggire. Fuggire! Fuggire!... Scivolerebbe piano nella sala da bagno, aprirebbe la porta sul corridoio, e via! Mosse un passo, piano, con infinita cautela.