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296 | annie vivanti |
e una volta messa, non si poteva più levar via. Pareva avesse immerso la punta delle dita nel sangue.
Le sette e mezzo! Bisognava mandare il biglietto. Suonò il campanello e apparve un cameriere. Era il cameriere che le aveva servito il thè. Allora si era mostrato un cameriere corretto e rispettoso, entrando con molti inchini nelle stanze sontuose e facendo il suo servizio silenziosamente a occhi bassi.
Ora vedendo Nancy — che aveva rapidamente indossato la più chiara delle sue vesti fruscianti — il cameriere la guardò stupito, poi continuò a fissarla in faccia, sfrontatamente, mentre le prendeva dalla mano il biglietto.
Lesse l’indirizzo, e disse:
— «C’est bon. All right. Jawohl».
Intascò il biglietto, sorrise — sorrise a lei! — poi se n’andò per il corridoio zufolando piano.
A Nancy era salito il sangue al viso. Colla fronte rossa di vergogna chiuse la sua porta; si tolse l’abito luccicante ed entrò nella bianca e argentea stanza da bagno, attigua alla sua camera. Fece scorrere l’acqua calda e si lavò la faccia: lavò dagli occhi e dalle guancie tutta la cipria rosa e Rachel, dalle orecchie e dalle narici tutti i «soupçons» e le ombre e le creme e il mascaro e il Leichner. Poi disfece la pettinatura e raccolse le chiome ondeggianti in un largo nodo in cima al capo, come era avvezza a portarle; e indossò la più scura e semplice delle sue fruscianti vesti.
Ma le unghie se le lavò, se le strofinò, se le spazzolò invano. Rimanevano d’un colore vermiglio vivido e aggressivo. E Nancy si sentiva diventar di fuoco ogni volta che le guardava. Allora decise di mettersi i guanti e il cappello. E così fece. Poi sedette nel salotto ad aspettare.
Aspettò quindici minuti. Poi qualcuno bussò alla porta.