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i divoratori 293

mostro? Poi ragionò che se fosse un mostro non le avrebbe detto di venire. «Perchè non pranzeresti con me giovedì?» non è il telegramma che manderebbe un mostro. No. Nancy era persuasa che egli non era un mostro.

Poi pensò: che cosa gli direbbe ella al primo vederlo? Tutto dipendeva da quel primo momento dell’incontro. Quel momento Nancy se lo figurava sempre in mille guise diverse; e le sue fantasticherie cominciavano sempre allo stesso modo.

Ecco: ella arrivava a Parigi; saliva in carrozza, e andava — non al Grand Hôtel dove stava lui, ma al Continental. Ivi prendeva uno splendido appartamento... Come? con quattordici dollari? Già, precisamente. Ormai che importava?

Era Rouge, o Noir! Se usciva Rouge, era salva. Se Noir — era la debâcle! Cinquanta franchi di più o di meno non cambiavano nulla alla situazione.

Dunque — e Nancy riprendeva il filo delle sue immaginazioni — ella si ritirava nelle sontuose camere, prendeva una tazza di thè nel suo sontuoso salotto, e poi riposava per un’ora o due sul suo sontuoso letto. Indi faceva una elaborata toletta, usando tutte le creme. E alle otto meno un quarto mandava un messaggero con un biglietto al Grand Hôtel: «Caro Sconosciuto. Sono qui!»

Allora... ah! allora?... Egli arriva, entra... la vede! E Nancy deve dirgli qualche cosa. Ma che cosa? quali saranno le prime parole ch’ella gli rivolgerà?

«Buona sera. Come sta?» Orribile! no, questo non lo dirà. Oppure: «Eccomi!» Dio mio! peggio! Clarissa a Milano aveva una serva, che, chiamata, rispondeva sempre «eccomi». E Clarissa diceva che la parola era stomachevole. Dunque, qualcos’altro. Forse in francese? «Me voilà!» Buffo! Ridicolo! No, no. Nancy non direbbe nulla. Parlerebbe lui per il primo.