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i divoratori 265


Anne-Marie, che credeva di essere invitata, fu molto timida da principio e molto rumorosa alla fine del pasto. I pensionanti erano della specie di tutti i pensionanti in tutte le pensioni del mondo. C’era il vecchio signore taciturno, e il giovinotto che fa dello spirito. C’era la signorina che studia il canto. C’era la famiglia distinta che si tiene molto a sè; e la signora coi capelli color zolfo, che si tiene poco a sè. C’erano i ragazzi americani male educati che litigano tutto il giorno e ballano il «cake-walk» tutta sera; e con essi era la loro madre inefficace, e il loro padre depresso, e la loro governante intontita. C’erano gli studenti russi. C’erano le signorine svedesi. C’era la signora tedesca d’una certa età.

Questa sedeva dirimpetto a Nancy; e dopo il primo sguardo quasi casuale ch’essa aveva rivolto a Nancy e ad Anne-Marie, la signora continuò a guardarle fisso tutto il tempo del pasto.

Ogni volta che Nancy alzava gli occhi incontrava quello sguardo attento e benigno dietro gli occhiali.

Nessuno parlò con Nancy durante la colazione; la conversazione essendo per lo più monopolizzata dal giovane di spirito e dalla signora coi capelli color zolfo, che scambiavano lungamente le loro opinioni riguardo all’età di Sarah Bernhardt. Nancy aveva un gran da fare a dire piano e in italiano ad Anne-Marie che non si occupasse delle due ragazzette americane, di cui gli esecrabili modi parevano affascinarla e ipnotizzarla.

Quella sera Nancy scese sola a pranzo.

Dopo la minestra, la signora tedesca parlò.

— Spero — disse, indicando il posto vuoto accanto a Nancy — che la bambina non sia ammalata.

— Oh, no, grazie, — disse Nancy. — Prende sempre del latte e un uovo alle sei, e poi va a letto.

— Secondo l’uso inglese, — disse la signora tedesca. E soggiunse: — È stata, lei, in Inghilterra?