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262 | annie vivanti |
era in piedi sul letto, pallida, cogli occhi spiritati e una mano tesa in gesto drammatico verso il muro. I capelli scompigliati le circondavano di fiamme bionde il viso.
— Ascolta! — disse. — Sta ferma! e ascolta!
Nancy stette ferma e ascoltò.
Chiara e limpida traverso il muro veniva la voce di un violino.
Sommesso e dolce lo accompagnava il pianoforte. Nancy riconobbe la musica. Era la «Romance» di Svendsen.
Anne-Marie, sempre ritta e immobile col braccio teso, come una piccola profetessa allucinata, sussurrò:
— Senti? È questo il pezzo che era bello, e che lui non ricordava!
— È un violino, cara, — disse Nancy.
E sedette sul lettino della bimba.
Ma Anne-Marie ascoltava, immobile. Nancy trasse a sè la coperta del letto e ne avviluppò i piedini nudi della sua bambina. Poi mise un braccio intorno alla smilza figuretta bianca.
L’ultima nota, lunga, acuta, dolorosa, vibrò e si spense. Soltanto allora Anne-Marie si mosse. Coprì il viso colle mani e scoppiò in pianto.
— Ma cos’hai, ma cos’hai, angelo mio? — chiese Nancy, angosciata, stringendosela al cuore. — Perchè piangi? dimmi perchè piangi?
I grandi occhi di Anne-Marie si fissarono su lei.
— Per tante cose, — disse lei.
E a Nancy la sua voce parve strana e lontana.
Per la prima volta Nancy sentì che l’anima della sua bambina era una cosa separata da lei, all’infuori di lei: un’anima ignorata e solitaria, volata fuori dall’essenza materna, inaccessibile alla materna ansia. Una piccola anima solitaria!