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i divoratori 255


Ma perchè si rassegnava? Ma che cosa aspettava? Ma dormiva? Era narcotizzata? Paralizzata? Del suo ingegno, che cosa ne aveva fatto? E della sua volontà? Ella dunque si lascerebbe affondare nell’ignominia della miseria, nella vile e inerte disperazione?

La pendola stonata suonò mezzanotte, e Nancy balzò in piedi come alla chiamata di una voce potente. Era la Vita che chiamava. La Vita! Nancy se la sentiva passare accanto, splendida, vertiginosa, come un’amazzone folle, scagliata incontro all’avvenire. E passando chiamava: «Nancy! Nancy!»

Nancy si dibattè per liberarsi dal suo letargo, e gridò alla Vita: «Verrò! verrò con te!»

Vi sono dei caratteri di cui l’evoluzione si fa lentamente, a impercettibili gradazioni, come si schiude una rosa, come un uccelletto mette le penne.

Ma Nancy irruppe in un’ora dalla crisalide dell’incoscienza. Da un giorno all’altro — e per la sola ragione che la sua ora era giunta — la mite e mansueta Nancy non fu più. La passiva anima infantile avvolta nella candida semplicità del Genio, disparve in quella notte. Forse venne a portarla via la Nave dei Sogni della sua infanzia, sulla quale i suoi piccoli amici fantastici, Bel Popò e Menton Fleuri, l’aspettavano ancora....

E forse se ne saranno tornati indietro insieme, fuori dall’esistenza, fuori dai ricordi, salpando nel buio delle cose passate, verso la lontana Isola di Ciò che non è Più.

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«Caro Ignoto,

«Quante domande! Non vi basta sapere che non sono nè la ragazza vestita di celeste, nè Miss Brown, ma vi ostinate a voler conoscere il mio nome?