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242 | annie vivanti |
diti. V’erano delle attrici in costumi di paggio; dei bambini colla testa grossa; dei giovinetti senza mento, col colletto basso; il signore e la signora Johnson in abito da sposi; il loro primo bambino (ora commesso in una drogheria), nudo, che si teneva un piede. Appeso al muro, con occhi bianchicci che seguivano Nancy dovunque ella si mettesse, v’era un ingrandimento fotografico d’un ritratto del defunto signor Johnson; e Nancy, sola, di sera, ne aveva paura. Aveva provato qualche volta a coprirlo con una tovaglia, ma era peggio.
Quando, mesi fa, erano arrivati in quella casa, Nancy aveva subito raccolto tutte quelle fotografie e le aveva nascoste in un armadietto buio in corridoio. Ma la signora Johnson arrivando all’improvviso, come soleva fare coi suoi inquilini, s’era guardata intorno con occhi severi.
— Dove sono tutte le fotografie? — aveva chiesto con voce terribile a Nancy. — Quelle non vanno toccate.
E le aveva rimesse tutte a posto, nelle loro cornici rotte e sui loro piedestalli sgangherati.
Vietò anche a Nancy di allontanare o muovere la grande lampada a piedestallo, che non si accendeva, ma che occupava molto posto e rendeva più soffocante il salottino. No, no; era costata trentadue dollari. Non si doveva toccare. Dunque la lampada stette lì, gigantesca e ingombrante, e il suo paralume di seta gialla, su cui erano appuntate con uno spillo di sicurezza delle sudicie rose bianche, era un oltraggio al dolente sguardo di Nancy.
Una sera, coricandosi, Anne-Marie disse a sua madre:
— Mi piace quella ragazza che sta qui vicino.
— Ma non la conosci, tesoro, — disse Nancy.
— Sì, sì, la conosco, — disse Anne-Marie. — Le ho parlato adesso dalla finestra in cucina.
— Come si chiama? — chiese Nancy, slacciando fet-