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i divoratori | 233 |
occhi rapiti quando parlava coi fornitori e coi vicini; e la seguiva di stanza in stanza quando essa spazzava e faceva i letti. Minna portava delle vesti scollate, e intorno al collo un nastrino di velluto nero e una fila di perle azzurre. Agli occhi di Anne-Marie, Minna rappresentava la perfetta bellezza muliebre. E Anne-Marie la imitava il più possibile, cercando di copiarne il passo, i gesti e il linguaggio.
Nancy talvolta le udiva parlare insieme in cucina. La voce di Minna:
— Cos’hai mangiato col tuo thè?... «A butterbread»?
E la voce di soprano striduletto di Anne-Marie:
— «Yes! two butter breads mit sugar.»
E Minna:
— «That’s fine! To-morrow Tante Schmidl makes a cake, a good one. We eat it evenings.»
— «A cake.... a good one. We eat it evenings,» faceva eco Anne-Marie.
All’orrendo suono di questo linguaggio ibrido, l’anima di Nancy si contraeva per la mortificazione. Ella aveva per l’appunto tolto dal fondo d’un baule il manoscritto del suo libro, e commossa l’aveva aperto sul tavolo davanti a sè. Le pagine liscie e larghe erano dolci al suo tocco.
La frizzante freschezza di pensiero, il piccolo brivido che sempre precedeva il prorompere dell’ispirazione, la scosse, e Nancy stese la mano verso la penna d’avorio....
— «A cake, a good one», — ripetè nella stanza attigua Anne-Marie, a cui il suono massiccio e teutono di quella frase piaceva.
— Oh, la mia bambina! la mia bambina! come crescerà?
Nancy, la madre, tolse di mano a Nancy, il poeta, la penna d’avorio; e il resto di quel giorno, e molti altri,