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i divoratori | 229 |
La faccia colle ali muoveva le labbra. Valeria sapeva bene cosa faceva movendo le labbra così, ma non poteva ricordarlo...
L’uomo rosso disse ancora: — Inutile! — e si drizzò.
«Inutile». Quella parola non comunicò nulla di preciso alla coscienza di Valeria; ma nel suo corpo vi fu qualche cosa che fremette in responso a quel verdetto. Colpo su colpo il cuore le cominciò a martellare, rapido e forte, più rapido e più forte, talchè lo si sentiva per tutta la stanza. Colpo su colpo, forte e più forte, quel cuore rullava come un tamburo.
Valeria girò gli occhi spaventati all’intorno, e disse alla faccia rossa vicina a lei:
— Fermate il mio cuore! Non lo lasciate battere così!
Ma certo nessuno la udì. Stavano tutti immobili ad ascoltare quel cuore; allora Valeria capì che non aveva parlato.
Il cuore rimbombava e rullava. Era spaventoso. Valeria girava gli occhi atterriti implorando soccorso.
Allora la suora disse al chirurgo:
— Oh provi, provi! L’aiuti, povera creatura!
E ancora l’acqua sgorgò e scrosciò, e qualche cosa fu spinto, scricchiolante e stridente, sul pavimento di marmo.
— L’étere, — disse il chirurgo.
Una delle faccie gialle s’abbassò su di lei, e le avvicinò al viso una reticella scura fatta come una maschera.
E d’improvviso Valeria fu sveglia. Era tornata in sè. Si rizzò a sedere urlando, e sbattè coi pugni sulla faccia gialla che voleva metterle la maschera. Vide i due dottori, e il vecchio chirurgo, e la suora di carità. Parlò, e la voce le uscì dalla bocca spalancata e lacera. Voleva dire: «Salvatemi, salvatemi!» Ma sentì che le parole che diceva erano:
— Faccio a tempo a traversare!