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226 | annie vivanti |
— Mio Dio! — sospirò Valeria, — vorrei che ci fosse Tom ad aver cura di noi! — e scese dal marciapiede per attraversare la via Manzoni.
Se Tom ci fosse stato, le avrebbe detto: «Aspetta!» Le avrebbe preso il gomito, con quell’aria un po’ rude di padronanza che aveva, e l’avrebbe ricondotta un passo indietro per lasciar passare il tram che veniva dalla destra, e una carrozza, e dietro alla carrozza un automobile (oh, ancora lontano!), che veniva liscio e rapido dalla sinistra.
Ma Tom, o ciò che restava di Tom, giaceva nel cimitero di Nervi colle mani incrociate. E nessuno disse a Valeria: «Aspetta»! Dunque ella scese lesta e leggiera dal marciapiede, tenendo stretto in una mano la borsetta viola, e nell’altra l’ombrellino e la veste. Vide il tram che s’avvicinava sul binario opposto e si disse che aveva tempo di passargli davanti. Fece di corsa tre o quattro passi, poi vide a sinistra la carrozza già vicinissima a lei.
Comprese che non avrebbe potuto passare, e indietreggiò, rapida.
La carrozza passò... ma perchè il vetturino gesticolava così?... Perchè faceva quella faccia terribile?... Ah! hanno dei gran cattivi caratteri i vetturini, pensò Valeria (il pensiero è rapido)... Poi qualche cosa la urtò nella schiena, e il pensiero si fermò, si spense. Un istante di folle clamore e confusione, di strepiti e urli, in cui le parve che urlasse anche lei... poi il silenzio, nero, chiuso, completo.
... Valeria sentiva un movimento cadenzato, oscillante, ed aprì gli occhi. Non vide nulla. Sopra di lei un tetto di tela grigia, intorno a lei dei muri di tela grigia... Ah, ma i muri ondeggiavano, si aprivano un poco, e lasciavano penetrare la luce. Valeria vide delle case che passavano... e dei pezzi di negozio... e delle persone... La portavano per la strada... Che cosa aveva alla bocca? Valeria