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146 | annie vivanti |
— Appena béby saprà camminare, — rispose Nancy da sotto la tavola, — la sua mamma... sì, sì, sì, chi è la sua mamma adorata? eh, tesoro piccolo, agnello del buon Dio?...
— Cosa racconti? — chiese Aldo impaziente.
— Dico che appena béby saprà camminare, la sua mamma, che sono io... nèh, béby, che sono io la tua mamma?... Di’ «mamma!» Mammam-mam...
— Ma va avanti, — gridò Aldo.
— La sua mamma, dicevo, si rimetterà al lavoro. Ma finchè questa creatura è un essere così piccolo — Nancy baciò la morbida testolina di sua figlia su cui i capelli spuntavano qua e là in ciuffi biondi — la sua mamma non sarà una crudele (bacio) brutta (bacio) feroce (bacio) tigre ircana (bacio, bacio) che abbandoni solo soletto al mondo un povero piccolo béby come questo (molti baci) per scrivere dei noiosi libri che nessuno ha voglia di leggere... bau-bau bau... Kukù!
Aldo seccato uscì dalla stanza, ma nessuno sotto la tavola si avvide della sua partenza.
Egli si recò dallo zio Giacomo, e gli parlò a lungo; e lo zio Giacomo, per amore di Nancy, lo prese nel suo studio e gli diede da fare dei disegni e dei piani d’architettura, con uno stipendio di duecento lire al mese.
Alla fine della terza settimana Aldo alzò gli occhi dal suo tavolo e, volgendo lo sguardo per la stanza dove altri quattro impiegati disegnavano dei piani, li osservò con aria meditabonda. Due di quei quattro erano giallicci e magri; uno era gialliccio e grasso; l’altro era grasso e rosso. I due giallicci e magri avevano pochi capelli; quello gialliccio e grasso non ne aveva affatto; quello grasso e rosso portava gli occhiali. Tutti quanti erano in quello studio da quattro, sei, e dodici anni a disegnare piani, con stipendi che variavano dalle duecento alle seicento cinquanta lire al mese.