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i divoratori 129


Valeria e Nino restarono soli nelle stanze desolate.

Valeria teneva il viso nascosto nelle mani. Ella guardava nell’avvenire; vedeva la lunga fuga dei giorni a venire, oscuri e solitari.

Nino, con gli occhi velati di pianto, contemplava quella figura curva davanti a lui; e i suoi pensieri volsero indietro e risalirono il corso degli anni.

Si chinò e le prese la mano.

— Cuginetta mia! — diss’egli.

Ella gli sorrise di un sorriso triste. Poi gli domandò.

— A che cosa pensi?

Vi fu una pausa.

— Pensavo a Nancy e al passato, — rispose Nino. — Pensavo a suo padre — al povero Tom! morto così improvvisamente, così miseramente, in viaggio, fra estranei...

— Già, — sospirò Valeria; e aggiunse a bassa voce, seguendo il filo dei ricordi: — Ma bisognava salvare Nancy.

— E pensavo anche al vecchio nonno, morto solo, nella notte, sulla collina...

— Bisognava trovare Nancy, — disse Valeria.

— E pensavo alla piccola Edith e alla sua povera madre, che dovettero partir sole... abbandonate da quelli che amavano, nell’ora più fosca della loro vita...

— Ma bisognava pur proteggere Nancy, — disse Valeria, con grandi occhi stupiti.

Udendola, egli comprese tutta l’inesorabile, la spietata forza dell’amore materno. Per Valeria nulla contava, nulla esisteva all’infuori di Nancy, — di Nancy che pure con dolce mano incosciente le aveva tutto rapito. Anche lui, non si era staccato da lei, preso e avvinto da Nancy?

— E penso a te, Valeria, — seguitò Nino, con voce bassa e tremante, — a te, di cui io ho calpestato il povero cuore...