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i divoratori | 105 |
fremette, si fermò; e Nino fu contento di saltar giù e d’ingoiare una rapida cena nel buffet, perchè davvero quella brutta faccia muta di fronte a lui gli era diventata insopportabile.
Così, tutta notte in treno. Nino combattè le sue lotte e ragionò coll’anima sua. E la brutta faccia della sua coscienza non disse parola, ma sempre lo guardò.
... All’alba, i gigli erano spezzati, e giacevano muti e morti in diafano candore sotto ai suoi piedi. Ma la faccia della sua coscienza era pulita.
Come Dio volle, il treno arrivò a Roma — dove c’era da aspettare tre ore il diretto per Napoli — e Nino corse al telegrafo della stazione e mandò un dispaccio a Nunziata:
«Arrivo stasera alle nove. Perdona. Scorda. Sono tuo per sempre. — Nino».
Al momento di salire in un omnibus d’hôtel gli dissero che un treno di piacere partiva immediatamente per Napoli. Si poteva dunque arrivare quattro ore prima. Tornò precipitosamente nella stazione, saltò nel treno che era pieno di preti e di escursionisti, e quando la Villari riceveva il suo telegramma, egli già s’avvicinava a Caserta.
La Villari stava facendo colazione tardi, come di consueto, e ammonticchiati in vaghe circonvoluzioni d’oro pallido sul suo piatto stavano i maccheroni al burro e formaggio. Ella vi aveva per l’appunto piantato la forchetta e la stava girando e rigirando, ravvolgendoveli con pacata cura, quando Teresa, la serva, entrò concitata.
— Un telegramma, illustrissima.
La Villari l’aprì.
— Misericordia! — esclamò. — È lui che torna!
Teresa si pulì le mani sul grembiale.