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208 vittorio adami

Ne mai da la battaglia il piè ritira
Pria che Scorpio la su torvo s’accampi.
Fugge all’hor dentro a le marmoree foglie
E l’ira addoppia e ’l suo poter raccoglie.

XIIII


Tal ne l’Immensa Caledonia selva
Sbocca da l’alta tana orso canuto
E famelico sbrana ogni altra belva
Col duro dente, e con l’unghione acuto,
Ma a l’apparir del verno ei si rinselva
Quando l’empio ha di sangue il ventre empiuto:
Nè pria che l’anno tepido rinove
Da l’opaca spelonca il fiero move.

XV


Segue il lito odorato, in cui di lauro
E di mirto, e d’olivo eterno è il verde:
Ove l’arbor di Media ha i pomi d’auro,
Nè mai frutti, ne fior, nè fronde perde.
Tali eran quei che fuor del lito Mauro
Da l’isolette opposte a Capo Verde
Portò già Alcide: e con la destra invitta
Fe’ la fiera crudel cader trafitta

XVI


Merlata rocca in su ’l monte appare,
A cui l’apre da tergo amena valle
Teodolinda il piè qui ritirare
Volle e al fasto regal volger le spalle
E faran le grandezze a noi si care
Che sdegneremo il glorioso calle?
E farem l’astra, e l’oro idolo e tempio:
Perchè a tanta virtù non resti esempio?

Il poemetto latino Amores, Amyntae et LencisFonte/commento: 526, è pure opera postuma del Sigismondo Boldoni, e restò inedito fino al 1756, quando il Durini lo inserì nel suo Larius, che contiene anche parte delle lettere del nostro, poeta, e il quarto libro della caduta dei Longobardi. Il Boldoni in una sua