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XXII
La vidi (o che portento !
o che fulgor celeste!)
in azzurrina veste
che l’ago ricamò,
piú fresca cl’una rosa,
piú monda d’una perla,
e tale che al vederla
Ciprigna mi sembrò.
Parlommi e le parole
avrei scolpite in mente,
ma tramortii repente,
né mi sostenne Amor.
O auretta, che le udisti,
fur dolci o furo ingrate?
Se fosser dolci state,
le sentirei nel cor.
XXIII
Io non invidio i fiori
al molle Anacreonte:
rosa piú gaia in fronte
egli non ebbe un di.
Questa non è del campo
ignobile fatica:
la nostra dolce amica
di propria man l’ordi.
Nel sacro, o bionda Irene,
amatunteo giardino,
sul fortunato spino
vista l’egual non fu.
A rosa cosi bella
cedano l’altre rose,
fuor che le due vezzose
che ne le guancie hai tu.