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IV

In solitaria stanza
langue per doglia atroce:
il labbro è senza voce,
senza respiro il sen.

Come in deserta aiuola
che di rugiade è priva,
sotto a la vampa estiva
molle narciso svien.

Io da Faffanno oppresso
corro per vie rimote,
e grido in suon che puote
le rupi intenerir:

— Salvate, o dèi pietosi,
quella beltá celeste:
voi forse non sapreste
un’altra Irene ordir.

v

Lucido vaso io mando
pien di odorifer’acque,
che spremere mi piacque
da cento e cento fior.

Non ricusarle, o bella,
secondo il tuo costume:
piu di qualsiasi nume
è permaloso Amor.

Doman ne F antro cheto,
quando s’ inalba il monte,
aspergine la fronte
e il seno virginal:

quel sen che nutre un core
di pudicizia armato,
ma tenero, ma grato,
ma fido, ma leal.