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CXLVI
Accenna la stagione in cui suole cantare le lodi di Maria
e la ricompensa che ne trae.
Mordi pur quanto vuoi, crudo gennaio;
dal tepido abituro io no, non esco,
e fra i volumi che mi stan sul desco
raddoppierò, se fia mestieri, il saio.
O felici que’ giorni in cui mi sdraio
soavemente a un zeffiretto fresco,
e si veston di fior mandorlo e pesco
e fassi il praticello erboso e gaio!
Allora io canto la gran Madre, e parmi
vederla alzarsi dal beato scanno
e scender frettolosa ad ascoltarmi.
So che una dolce illusion mi fanno
speranza e amore; e pur de’ nostri carmi
gradita ricompensa è quell’inganno.
CXLVII
TENERI AFFETTI A MARIA
Io t’amo, e il giuro per que’ tuoi si begli
di tortora idumea purissim’occhi,
i quai mi stan dinanzi, o che si svegli
o che ne l’onda esperia il sol trabocchi.
Oh ! fossi un angel tuo, fossi un di quegli
che co l’ondoso manto inombri e tocchi,
o destini a velare i tuoi capegli
lucidi piú che de la lana i fiocchi (*).
Perché mi lasci in queste abbiette parti,
ove ognor ti sacrai l’alma e l’ingegno,
né il tuo bel paradiso a me comparti?
Ché se rompi i miei lacci e teco io vegno,
vedrai quant’amo e quanto al grande amarti
era giusta mercé d’amore il regno.
(i) «Caprili lui si cut gregcs capvarum», ecc. Canticus canticorum.