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ALLA VERGINE
Madre, che fia di me? L’aria si oscura
e sul monte vicino il lampo guizza.
Vedrò la spica non ancor matura
lungo il campetto mio dispersa e vizza?
Giá tutte ardon le falde e a la pianura
giá precipita il nembo e qua s’ indrizza.
Oh, senti che tonar! Da la paura
il sangue mi si gela e il crin si rizza.
Sorgi, o gran Madre; a te la voce innalzo:
distorna il nembo e frangi la sua rabbia
incontro ai sassi di deserto balzo.
Se il necessario pane avvien ch’io m’abbia,
daronne a l’orfanello ed a lo scalzo,
e parrammi di darlo a le tue labbia.
CXLV
PER LA FESTA DELLA VISITAZIONE
Cessa, o Vergine, il bue, cessano i rastri,
e al tuo peregrinar festeggia il mondo:
s’orna la villanella il capo biondo
e non perdona a fiordalisi, a nastri.
Oggi videro i balzi e gli oleastri
mover con teco il benedetto pondo;
oggi di cento sfere al suon giocondo
sotto i piedi, o Maria, ti danzan gli astri.
Ah ! se giunge lassú tenera prece,
non mi negar quel carme (*) a cui si lieta
oggi d’ Ebròn la selva eco giá fece.
Vieni, vieni a ridirlo, o mansueta;
e s’ Ebròn (A spergiurò, lascia che in vece
di quell’aure nefande io lo ripeta.
il II Magnificat.
(2) Ebròn, cittá dell’antica Palestina, oggi di rito ottomano.