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CXLII
Dopo la morte inaspettata (T Irene, di cui visita la patria,
rivolge i suoi affetti a Maria.
Lucide collinette, ombre selvagge,
dopo si lungo corso a voi mi rendo.
Qui vidi il fior de le donzelle sagge,
e qui le brevi rime andai tessendo (*).
Oh quante in rivedervi, amate piagge,
quante ne la memoria idee raccendo !
Ivi soggiorna Irene, ivi mi tra gge
una certa pietá che non intendo.
Ma qual tomba ederosa offresi al guardo?
e che note son quelle? «Irene è polve:
spargi il sasso di lacrime e di nardo».
O sasso! o vista!... Ah! se beta dissolve
tutto, ove gir? Quantunque il di sia tardo,
vonne a Maria ch’ogni tardanza assolve.
CXLIII
A MARIA VERGINE
Madre, ne la vicina ora di morte,
giacché del viver mio resta si poco,
vieni al mio letticciuol: te sola invoco,
né spero altronde la virtú del forte.
Qualora io penso che fugaci e corte
m’avviano le giornate in altro loco,
e che di tenue cera al lume fioco
vedrò l’orror de la mia dubbia sorte;
tanto io m’attristo e tanto mi scompiglio,
che, freddo il viso e di paura bianco,
gravami uscir d’un infelice esiglio.
Vientene, o Madre, né obliare unquanco
che se tuo dritto è la pietá d’un figlio,
suo dritto è quello di morirti al fianco.
(i) Cioè le Anacreontiche ad Irene.