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SONETTI

CXXXVI

AL CONTE MANIAGO

per dottorato.

Si, lo vedrai. Piú che l’euganeo serto,
onore un tempo del Liceo vetusto,
or mal voluto e mal concesso arbusto
di cui quasi ogni crin va ricoperto;

piú che l’ingegno tuo vivace e sperto,
piú che il tuo stil flessanime e robusto,
mel predice quel cor che apprezza il giusto,
che intende la pietá, che onora il merto.

Oh ! de’ prischi Maniaghi illustre figlio,
incominci da me tua nobil cura,
ecco tutto io m’affido al tuo consiglio.

Salvami i dritti che mi die’ natura,
e di lagrime dolci asperso il ciglio,
la tua prima io sarò gloria ventura.

CXXXVII

A CLOE

Da la solinga camera tacente,
ove l’amico su le piume ingrate
mesto si lagna de la febbre ardente,
ti scrive l’amoroso ingenuo vate.

O bella Cloe, se fossi tu presente
tornerebbe la rosea sanitate:
ah ! tu non sai qual vivido e possente
farmaco sian le tue pietose occhiate.

Va’, corri almeno lá nel bosco ombroso,
ove al santo nipote di Latona
sorge il medico altare portentoso.

Offrigli di viole una corona,
e digli poi col labbro sospiroso:

— Salva l’amico e tutto mel ridona.