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Ecco il forte Parise: ei sol determina
l’empio affrontar, benché minacci e sibile.
Divin coraggio nel suo petto germina
e vantan l’armi sue tempra invincibile.
Giá giá le afferra, e in un baleno estermina
il nemico del cielo angue terribile.
Corron le genti a l’orrido spettacolo,
e portano le squamine al tabernacolo.
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Questo è ben altro che d’ insulsi e frivoli
concetti il vago sermoncin dipignere,
e dai colli di Albano o pur di Tivoli
l’idea de’ colli sempiterni attignere;
questo è ben altro che ne’ toschi rivoli
la leziosa paroletta intignerei
questi sono aurei fasti, opre magnanime
non date al vulgo de le gelid’anime.
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Dunque perché si tarda? Ecco giá spirano
Paure propizie dai tebani mantici,
e a te d’ intorno, o Pindemonte, girano
su Pali desiose i nuovi cantici.
Deh! se gli egregi fatti ancor si ammirano,
deh! porta il buon Parise ai lidi atlantici;
e scrivi le sue glorie in cento pagine,
che salve andran da la letea voragine.