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12
Se il caro laccio che ne tiene avvinti
aggia del tempo insultator vittoria,
lascia ch’io sparga di pimplei giacinti,
amabile garzon, la tua memoria.
Cosi potessi al naturai dipinti
far de’ tuoi inerti una verace istoria,
ché in te descriverei sincero e giusto
la dolcezza di Tito e il cor d’Augusto (0.
13
Fortunata donzella, udrailo meco
una bionda cantar ninfa ritrosa,
Morfeo chiamando dal cimmerio speco,
onde sognare almen Fille pietosa.
Coi teneri parenti, il nume cieco
odia r indifferenza e mai non posa:
or si consuma d’un bel ciglio al foco,
or gemiti e querele ei prende a gioco.
14
Chi piú di Saffo barbaro e discorde
amor provò ne l’idolo incostante?
Oh quante volte su l’eolie corde
impallidí la sventurata amante’.
E dolendosi invano a l’aure sorde
fea dispetto al bel crine e al bel sembiante;
mentre il lito deserto e l’onda amara
— Faon, Paone’. — ripeteano a gara.
15
Quinci dal duolo e da l’affanno vinta,
corre del mar su la romita sponda.
Lá palpita, sospira, e mezza estinta
ne’ procellosi vortici si affonda.
Pentito Amor, di lagrima non finta
quello scoglio irrigò, sparse quell’ onda;
ed or Saffo novella a te promette
ben altri per Faon dardi e saette.
(1) Questa ottava è ripetizione della xxiv del poemetto II Jarnehco .