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XXVIII
AL CONTE ARNALDO ARNALDI TORNIERI
afflittissimo per la morte di una sua sorella.
Vanne, o colomba tenero-gemente,
vanne ad Arnaldo che sospira e piange,
e a la mensa fraterna in van sedente,
né bee di tralcio umor né pane infrange.
Digli che rassereni il cor dolente,
e lo squallore in allegrezza ei cange;
ché vive Idalba su l’empiro ardente
tra la pudica maritai falange.
E poi quando tramonta il sol vermiglio,
se ne V intime stanze aver puoi loco,
cerca in quella d’Arnaldo un rispostiglio.
Ivi gemendo in suon pietoso e fioco,
fa’ ch’ei socchiuda il lagrimoso ciglio
e fa’ che il sonno lo ristori un poco.
XXIX
AL SUO DILETTISSIMO AMICO SEB. VIGNO LA
che aveva eccitato l’ autore a dipingerlo in versi.
Vignola, io ti dipingo. Ecco l’aurora
che si vede spuntar da la collina,
e di soave luccicante brina
il desioso praticel ristora.
Senti un garrir d’augelli che innamora,
ebbri il petto di gioia mattutina;
mira qui l’arboscello, ivi la spina,
un che s’infronda e l’altra che s’infiora.
Ve’ ve’ quel basso rio che l’onda pura...
Ma tu mi .guardi, e nel tuo dolce stile
gridi: — Pingi l’amico o la natura? —
Gentil Vignola mio, pingo d’aprile
un ridente mattin; né v’ ha pittura
che al tuo viso e al tuo cor sia piú simile.
I. VlTTORKLLI, Poesie .
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