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20

E forse odio novel si accenderia
di quelle dive ambiziose in core,
ché ciascuna d’aver pretenderia
piú leggiadro tupé, tupé maggiore.

E forse eletto a giudicar saria
l’ingenuo di tal moda abil cantore,
e in me rinnoverebbe il gran litigio
la ventura immortai del pastor frigio.

21

E quella chioma inanellata e bella
che agli altari di Venere si offerse,
la qual in vaga luminosa stella
per decreto del ciel poi si converse,
d’una tal cetra a l’armonia novella
udriasi lamentevole a dolerse;
ché vorrebbe esser chioma un’altra volta
per comparire in un tupé rivolta.

22

Deh ! lascia un po’ gli ombriferi laureti,
che fan corona ai taciturni seggi,
dove raccolto in mistici segreti
la repubblica tua contempli e reggi,
tu, che qualsiasi novitá divieti,
o rigido Platon, co le tue leggi (»),
ne le vivande, nel vestir, nel gioco,
sino ai fanciulli, Vienne qui per poco.

23

«Cose sopra natura altere e nuove»
oggi vedrai nel circolo mondiale,
cui simile non fia che si ritrove
dal tuo profondo investigar mentale;
e forse allora, se m’aiti Giove,
ti pentirai, filosofo immortale,
d’aver vietato quai dannosi e tristi
usi ancora impensati e ancor non visti.

(1) Platone, Leggi, cap. vii.