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XLV
ALL’AMICO CONTE ANTONIO REMONDINI
per la vista a lui restituita dal dottor Pietro Sacchi
professore di chirurgia della cittá di Rassano.
Se da nube oscura e tetra
torni lieto a’ rai del sole,
torno anch’io su questa cetra
liete a mover le parole.
Fibra tal mi die’ natura,
che a la gioia del compagno,
del compagno a la sventura,
io pur godo, io pur mi lagno.
Ah! quel pianto che dai lumi
su l’amico invia l’amico,
panni il nettare che i numi
ber soleano al tempo antico.
Tu giá sai che nel mio petto
freddo e vile il cor non langue,
e che a te m’annoda stretto
doppio vincolo di sangue.
Sai che fresco garzoncello,
in sul rompere del giorno
mi ti aggiunsi per fratello
negli studi e nel soggiorno (i).
Ma cresciuto a poco a poco
de l’etade il primo fiore,
tu seguisti in altro loco t 2 )
le bell’arti, io le canore.
Forse in me (taluno il dice)
la gran Madre un vate feo,
e guidommi ispiratrice
nel giardin che olezza in Teo.
(j) Cioè nel collegio Beroli di Bassano.
(2) L’amico in Bologna e l’autore in Brescia.