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XVIII
SONETTO SCRITTO DA VENEZIA
al cavaliere Ippolito Pindemonti in villa.
Si allude alle singolari e veramente inimitabili poesie campestri che il suddetto
cavaliere andava componendo in quel suo delizioso ritiro.
Tremola acquetta e verdeggianti zolle,
sparse di qualche fior bianco e turchino,
son gratissima invidia al cittadino,
or che il nemeo leon s’ infuria e bolle.
Oh, d’un platano fresco a l’ombra molle
seder teco potessi in sul mattino,
e teco a un zefiretto vespertino
placidamente errar di colle in colle!
Tutte mi scorreria le fibre e i nervi
quel tuo canto, o signor, che al vivo esprime
pastorelle ed agnei, boschetti e cervi.
O cari faggi, o dilettose cime,
chi mi trattien? Quanto amerei vedervi
ne l’atto di ascoltar si dolci rime!
xix
Trovandosi in Passano il nobil uomo signor marchese Ippolito Pindemonti,
cavaliere di Malta, illustre patrizio veronese ultimamente ascritto alla veneta nobiltá.
Mentre per la segreta aria notturna
una pallida luce si diffonde,
errar vidi, o signor, su queste sponde
di Fracastoro l’ombra taciturna.
E la conobbi a le apollinee fronde,
al lungo pallio ed a la cetra eburna,
come quando invocata esce da l’urna
e parla teco o a’ versi tuoi risponde.
Parea che, grave agli atti e mesta in fronte,
di te cercando, o cavaliere egregio,
vagasse incerta per la notte opaca.
E parea che dicesse: — O Pindemonte,
perché togli a Verona il piú bel fregio?
Vientene, e l’ombra mia conforta e placa.