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XVII
ODE ANACREONTICA
in ringraziamento de’ suoi lodati pampini.
Dunque la bella Irene
serbasi fida e umana?
dunque, benché lontana,
ricordasi di me?
La saporita pasta
che di gustar fui degno,
è un infallibil pegno
di cortesia, di fé.
Questo mio labbro, ch’era
amareggiato e grave,
da cibo piú soave
tòcco giammai non fu.
Io non invidio certo
a la superna mensa
quel nettar che dispensa
la dea di gioventú.
Se per virtú de’ sacri
armoniosi carmi
potessi trasformarmi
in rapido augellin,
tosto lasciar vorrei
questo inamabil suolo,
e dispiegando il volo
scendere a lei vichi.
Dirle vorrei pian piano
co V amoroso rostro:
— O bella Irene, il vostro
poeta m’inviò.
Del prezioso dono
ringrazia quei due neri
occhietti lusinghieri
per cui s’ innamorò.