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XXX
Da l’invocato sonno
ebbi conforto e pace;
la fantasia vivace
ripiglia il suo tenor.
Chi l’ore piú funeste
mi ritornò serene?
Lo deggio, o bella Irene,
10 deggio al tuo splendor.
Tu in vaga mascheretta
sedendomi dappresso,
tu fosti, lo confesso,
11 nume sanator.
Come potesti, o bella,
piegare i sordi fati?
Ah, questi son gli usati
miracoli d’amor!
XXXI
Fingi, vezzosa Irene,
fingi sdegnarti un poco;
ma guarda ben che il gioco
sia breve e passeggier.
So che si sdegna Amore
per naturale istinto:
m’addestrerò col finto
a sostenere il ver.
Giá turbasi quel ciglio,
sparisce quel sorriso,
e fugge a l’improvviso
bellezza e gioventú...
No, no, crudele Irene,
il gioco non mi piace;
presto ritorna in pace,
né ti sdegnar mai piú.