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e nel canto di Scilla abbellito dal sorriso più vago delle Cariti amiche, e nel Voto tutto sparso di fulgidissime gemme, io mi son sentita rapire da un maraviglioso diletto. Mi pareva d’essere in compagnia di quei Greci, dei quali vivo innamorata, per grazia delle migliori versioni italiane. L’immaginare leggiadro, che prese vita dall’amenissima Tempe, o lungo il Cefiso, o le sponde dell’Eurota, e tutto quanto più di bello e incantevole si creava eterno sotto quel beato cielo, mi tornò innanzi sì vivamente nel leggere lo Xifia, che io sclamava spesso, commossa fino alle lagrime, benedicendo al nome dell’autore:

                «Oh viva, oh viva
                Beatissimo Voi,
                Sin chè nel mondo si favelli o scriva!»

Ma quì, in faccia a tanta grandezza, la coscienza della mia nullità m’impone silenzio. Perdoni, carissimo Diego, se ho osato di dire una parola sull’opera sua immortale. Io già me ne vergogno, e se non fosse che molto m’affida la sua bontà, quasi mi terrei dal mandarle questa lettera. Basta: valgami il grande amore,

«Che m’ha fatto cercar lo tuo volume»

onde io sia mantenuta nel possesso della sua grazia, e possa ripetermi finchè vivo.
Bologna.

Obbl.a div.ma sua ammiratrice ed amica
Teodolinda Franceschi Pignocchi.





     Mi è giunto il prezioso dono dello Xifia, quando era fra noi la Teodolinda Pignocchi, colla quale si è letto ed ammirato l’impareggiabile traduzione italiana di quel Carme. Mi farei ridicolo, pretendendo unire le mie lodi a quelle de’ più grandi letterati del secolo, per celebrare le glorie del poeta calabrese, ma sento il bisogno di dirle, che per quanto fosse grande la mia prevenzione, venne superata dal fatto, e se alla lettura dello Xifia chiaro si mostra, che Ella non è meno perfetto nell’Elegia, che negli altri generi di componimenti, leggendo quei magnifici versi italiani si vede, che è egualmente profonda nell’idioma