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manoscritti xxi



(c. 34b) Qui cominciano lecançoni delchiaro poeta dante alighieri difirençe. Sono quindici, in quest’ordine, senza rubriche speciali:

Cosi nel mio parlar uoglio essere aspro
Voi chentendendo ilterço ciel mouete
Amor che nellamente miragiona
Ledolci rime damorchio solea
Amor chemuoui tua uirtu dalcielo
Io sento si damor lagran possança
Alpoco giorno ζal grancerchio dombra
Amor tu uedi ben che questa donna
Io son uenuto alpunto dellarota
Emincrescie dime simalamente
Poscia chamor del tutto ma lasciato
Ladispietata mente chepur mira
Tre donne intorno alcuor mi son uenute
Doglia mireca nello core ardire
Amor dache conuien purchio mi doglia

(c. 43a) Finiscono lecançoni distese didante.

(c. 43b) Viri illustris atque poete celeberrimi francisci petrarce deflorentia rome nuper laureati. fragmentorum liber incipit feliciter.

Il codice si può dir composto di tre parti: a) la Vita di Dante e la Vita Nuova in tre quaderni e un duerno (cc. 1-28); b) la canzone del Cavalcanti Donna mi prega, col commento di Dino del Garbo in un quaderno a cui sono stato tagliate tre delle quattro carte rimaste bianche (cc. 29-33); c) il carme del Boccaccio, le canzoni di Dante e le rime del Petrarca, non in quaderni regolari, ma legati fra loro pel fatto che le canzoni di Dante cominciano sul tergo della carta ove è scritto il carme del Boccaccio, e le rime del Petrarca sul tergo della carta ove finiscono quelle di Dante.

La Vita Nuova ha le divisioni in margine, come nella copia fatta dal Boccaccio (cfr. p. xiv), e reca infatti a c. 13a la nota giustificativa del Boccaccio stesso per aver tolto le divisioni dalla loro sede naturale: Marauiglierannosi molti per quello che io aduisi, ecc. La distinzione dell’opera in paragrafi, col mezzo sia di lettere miniate e capoverso, sia di sole iniziali miniate, corrisponde a quella da noi seguìta, eccetto il § II e III, il cui principio non ha alcun segno di distinzione. Le rime sono scritte a mo’ di prosa.

Si disputa fra gli eruditi se il codice sia autografo del Boccaccio. Lo affermò il Pakscher (Giorn. stor. della lett. it., VIII, 364 ss.): lo negarono il Macrì-Leone (La Vita di Dante scritta da Giovanni Boccaccio, testo critico con introduzione, ecc. Firenze, Sansoni, 1888, p. cxlviii ss.) e il Cesareo (in Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, s. IV, voi. IV, p. 188 ss. e poi nel volume Su le Poesie volgari del Petrarca, Rocca S. Casciano, Cappelli, 1893, p. 289 ss.); lo nega pure