Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
xviii | introduzione |
recano un indice dei rimatori contenuti nel volume, di mano, sembra, del Crescimbeni; le cc. 7-12 contengono rime varie di Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti; le cc. 13-38 la Vita Nuova; bianca la c. 34; le cc. 35-127 contengono rime di vari autori, quasi tutti dello Stil nuovo; a cui seguono due carte bianche e una guardia. Lasciando questi fogli di guardia o posteriormente aggiunti, in principio ed in fine, il testo è compreso in carte 121, e due numerazioni meno recenti in penna si limitano difatti a queste sole, la più antica sparita qua e là per raffilatura del codice, la seconda in cifre romane mescolate con arabe è in talune pagine stata rasa, per lasciarvi solamente l’altra, più chiara ed elegante: noi ci atterremo a questa doppia numerazione in penna, che è quella adottata dagli studiosi summentovati. Trovando a c. 1 (secondo la numerazione in lapis, c. 7) nel margine superiore un ....xxij, il Monaci ne dedusse che il Ms. possa aver avuto prima della rilegatura «avanti al foglio di testo che ora è primo, molti altri fogli ancora»; ma poichè qui l’iniziale grande miniata dà indizio di principio di codice, e nelle carte seguenti questa supposta numerazione non si vede continuata, nè v’è traccia di rasura, quel ....xxij, o forse piuttosto Cxxij, può credersi invece una vecchia segnatura del codice.
La mano che esemplò il codice è quella del cosiddetto gruppo Strozziano nella famiglia Barberiniana dei Mss. della Divina Commedia. Secondo le più recenti e minuziose indagini del prof. G. Vandelli la scrittura di questo gruppo non è propriamente di quel Francesco di ser Nardo, che trascrisse il codice Trivulziano 1080 e il Laurenziano XC sup. 125, ma di un copista contemporaneo: onde anche il nostro codice va assegnato a circa la metà del sec. xiv. A c. 27b, in fine della Vita Nuova, da una mano, che a me sembra dei primi del sec. xvi, fu aggiunto un sonetto di ‘Messer Cino da pistoia’ (La dolce vista el bel guardo soaue); a c. 121b una mano diversa, ma presso a poco dello stesso secolo che la seconda, ha trascritto un altro sonetto (Sonetto fatto per lo schrittore. O sachro, santo, o felice, quellora). Mi pare anche che i sonetti di Francesco Petrarca che si hanno nelle cc. 120a-121a, a cominciare dal 2° della c. 120a, attestino un’altra mano, sebbene si sia cercato d’imitare la prima.
Le rime sono scritte a mo’ di prosa, distinguendo i versi con lineette trasversali, non sempre però regolarmente. La Vita Nuova è senza titolo ed explicit: non ha distinzione di paragrafi, ma soltanto dopo la fine delle narrazioni si viene a capo per trascriver la poesia e s’ha l’iniziale colorata, e col segno del capoverso e l’iniziale colorata si torna ugualmente a capo per la divisione: ove dopo la divisione riprende la narrazione, fra l’una e l’altra non è fatta nessuna