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clxx introduzione

(Tav. 34)

b1 b2 b3 Laur. XC s. 136 To
VIII 12 ad infinita ad indiffinità
XVI 11 disopra narrate disopra ragionate
e dico onde dico
XX 7 insieme in essere
XXII 3 piangea piange
XXVI 14 le quali operaua che uirtuosamonteo operaua
XXXV 4 e cominciai. Videro ζc. e comincia il sonetto. Videro
XXXIX 6 per força ζc. dissi lasso per força ζc. ζ dissi lasso
XL 4 io pure gli farei io gli pure farei


L’accordo in tali varianti da parte di b1 b2 b3 e Laur. XC s. 136 viene a provare che questi codici formano, di fronte a To, un gruppo a sè, che possiamo indicare con b* 1. E si presenta allora il problema: To e b* sono essi due manoscritti indipendenti, oppure l’uno deriva dall’altro? Che To non possa esser derivato da b* è dimostrato dal fatto che nessuna delle varianti secondarie del secondo sia passata nel primo. Se fossero tutto errori manifesti, si potrebbe credere che To, vista la necessità di correggere, abbia indovinata, o ricercata altrove, la lezione genuina; ma in XVI 11, XXII 3, XXVI 14, XXXV 4, XXXIX 6 anche la lezione di b* dà un senso sodisfacente, tanto da non mettere l’amanuense nella necessità di riscontri o di congetture. Si noti anche il caso di XL 4: è naturale che un copista mantenga una forma antiquata come io gli pure farei, se la trova nel suo originale; ma non si capirebbe come To, trovando nell'esemplare la forma più usuale (io pure gli farei), sostituisse quella che è meno comune. Più ammissibile è il caso opposto, cioè che b* derivi da To. Le varianti proprie di quest'ultimo (tav. 31) sono così poche e di tal natura, da non far maraviglia che un copista le abbia corrette, sia pel ricordo di certe espressioni che si ripetono periodicamente nel testo, sia per suggerimento del buon senso 2:

  1. <Si potrebbe aggiungere come variante caratteristica di b* si trouano (XIV 14), data da b3 o da Laur. XC s. 136 (mancano le divisioni in b1), nonostante che Panc. 9 legga, come To, si scriuono; perchè allontanandosi in questo luogo Magl. VII 1103 dalla lezione tanto di To quauto degli altri codici di b (ha infatti simanifestano), è da supporre che b2 avesse a questo punto un errore manifesto, di modo che Panc. ristabilisse la lezione genuina, sia ricorrendo ad altra tradizione, sia per congettura.
  2. In XV 3, riuscendo manifesto che To ha tirato ad abbreviare per non occupare un’altra linea colle ultime parole della ragione, b* può ben aver rimesso nel testo il consueto il quale comincia. In XVIII 8 e in XXXVII 3 la correzione era ovvia, e pel secondo caso già fatta, pare, dal trascrittore stesso di To.