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classificazione dei testi clxxix

trascrittore per far entrare nella riga, di cui rimaneva poco spazio, la fine della ragione; onde, invece di copiar tutte le parole dell’originale questo sonetto il quale comincia. Cio che mincontra, abbreviò così: questo sonetto. Cio. La seconda è nata dall’omissione materiale, involontaria, di un t nell’atto di trascrivere parti, onde risultò un pari che non dà senso, allo stesso modo che in XXIV 5 abbiamo nello stesso codice e negli affini un pare invece di parue. L’aggiunta del pronome l(o) in XXVI 9 potè parer necessaria, o almeno opportuna, per dar maggior chiarezza al passo: onde io ueggendo ciò ζ uolendo manifestare adchi cio non uedea; ma può anch'essere che quel pronome fosse già nell’esemplare di To1, e che il trascrittore di To, accortosi d’averlo omesso nella sua copia, ve lo aggiungesse per scrupolo d’esattezza; onde non sarebbe, almeno in questo gruppo, lezione secondaria. L’unica lezione secondaria di qualche entità sarebbe la quarta (non rimanesse non saputa pur dal misero), ma anche essa dovè essere introdotta per mero caso ed eliminata subito dal trascrittore con un tratto di penna.

Altre varietà fra To e gli altri codici di b2 ci sono, ma non è To che in questi casi si allontana dalla buona tradizione:

  1. La lezione uolendolo si trova anche in K e Am, e poiché il capostipite del gruppo a cui appartengono quei due codici forma, come vedremo, con b una sola famiglia, così quella lezione è probabile che risalga sino al capostipite di essa famiglia: poco vale il fatto che T (cfr. p. clxxxii legge uolendo manifestare, perchè può benissimo trattarsi di un’omissione del trascrittore di quest’ultimo codice.
  2. Non teniamo conto delle divisioni aggiunte nei margini del codice d’Ithaca, che derivano, come vedremo, da To; e dobbiamo non far caso di Ricc. 1054, perchè disgraziatamente non arriva sino a quei paragrafi ove si hanno lo varietà che distinguono To dagli altri codici di b. Magl. VII 1103 concorda in questi passi quasi sempre con To; difatti se a VIII 12 reca ad infinita (corretto ad infinite) e a XL 4 io pure gli farei, legge d’altra parte: XVI 11 disopra ragionate, Vnde dico, XX 7 inessere, XXII 3 piange, XXVI 14 che uirtuosamente operaua, XXXV & chomincia chosì (in XXXIX 6 dopo lasso per força ζ c. omette il resto). Ma se Mal. VII 1103 è affine a Panc. 9, e questo concorda con b1 b5 e Laur. XC s. 136, bisogna ammettere che in Magl., o in un suo ascendente, alcuni luoghi fossero corretti col riscontro di To, o di un manoscritto di famiglia diversa, non essendo le suindicate lezioni peculiari di To e del gruppo boccaccesco, ma comuni a tutte le tradizioni. Che originariamente Magl. VIII 103 derivasse non da To, ma da b* (vedi p. clxx), se n’ha una riprova in XIX 19 dove (cfr. tav. 35) se esso, invece di parte della prima come hanno Panc. 9 e Laur. XC 8. 136, avesse avuto la lezione di To, non ci sarebbe .stata ragione di correggere così alla brava in forma e parte.