graverebbe il Senato, se volesse prestar alimento a tutti i chiechi che amavano versi. Di ciò offeso Omero, tosto se ne parti con turbato animo, vibrando imprecazioni che in Cuma non avesse giammai a nascere poeta alcuno che splendor le arrecasse. Pervenuto a Focea recitò de’ suoi versi e molto piacque, per cui un certo Testoride gli ebbe offerto il vitto necessario a patto che potesse trascrivere i suoi componimenti, ed Omero dal bisogno oppresso vi acconsentì. Ma appena avuti in poter suo que’ preziosi scritti Testoride se ne fuggi a Chio, e spacciandoli per Suoi acquistossi e fama e grande fortuna. Così oltraggiato e deluso il Poeta deliberò andarsene a Chio per iscoprire a’ cittadini quell’impostore. Giunse ad Eritra, e qui entrato in un battello di pescatori, che a quella volta andavano, fu disumanamente da costoro abbandonato su di una riva ove passò l’intera notte. Cieco e solo errava in quella spiaggia deserta qua e la tentone, quando il secondo giorno in sul far della sera udì un belare di capre e pecore, e mossosi a quella volta donde il suono veniva, dopo lunga fatica vennegli presso, e comechè lo videro i cani custodi di quella mandra essendo a loro strano l’assalirono, e certamente ne sarebbe stato mal concio se il pastore chiamato Glauco non vi ci fosse a salvezza accorso; e presa di lui compassione il menò alla sua capanna, e confortatolo alla meglio fu questo in remunerazione da Omero divertito con molti e diversi racconti di quelle cose che ne’ viaggi vedute avea; del che meravigliando Glauco il giorno appresso diede avviso di quest’uomo al padrone, il quale subito sel fece innanzi condurre. Come il vide e lo sentì ragionare, restò siffattamente soddisfatto, che il tenne presso di sè e lo incaricò dell’educazione d’un suo figliuolo. In questo villaggio chiamato Boliso dimorò egli buona pezza, e quivi compose alcuni poemi. Sparsasi nella vicina Città di Chio la sua fama, pervenne pure all’orec-