dai rumori delle genti, e di star in casa por poter attendere più speditamente alla sua arte; desiderando sempre fare maggiori cose che non avea fatte per addietro. Non andò mai (come ei dice) a baciar le mani nè i piedi a nessuno per accattar favori e protezioni. E stimando gli uomini per sola la virtù, non fece mai dono delle sue opere a gran signori e a principi: ne volle pur conoscere prelati e cardinali; ma bene si allegrò in veggendo spesso visitare il suo studio i più illustri personaggi d’Europa. E per non mancare onestamente a se medesimo, dettò le memorie della propria vita1 in uno stile alquanto scorretto, come quegli che non avea fatto studio di lettere. Nelle quali memorie si dolse a ragione, che, se bene in Roma non fosse stato avanzato da niuno in quella sua arte, pur non trovasse mai appresso i governanti incoraggiamento nessuno. La sua effigie corporea è stata ritratta in un busto di gesso, più grande del naturale, dal suo egregio concittadino, e amico nostro carissimo, Luigi Maioli scultore. Il quale n’ha fatto dono all’accademia ravegnana delle belle arti, acciò che non manchi alla patria la imagine di questo suo illustre figliuolo.