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istruire; ma perchè dalla medicina non si distraesse, la grazia fu a lui negata.

Eravi in que’ tempi certo Ricci Ostilio di Fermo, matematico del duca di Toscana, e intrinsicissimo della famiglia Galilei. A lui ne venne il Galileo, ed umilmente il pregò, che gli volesse dichiarare Euclide. Il Ricci, ottenuto però anche il consenso del padre, il soddisfece, e cominciò a far conoscere al Galileo, che allora contava dell’età sua gli anni 22, i primi elementi della geometria. Come conobbe il bello e l’utile di sì fatta scienza, sentì dolore per non essersi molto prima incamminato in quella, e datosi con fervore, assiduità ed impegno a questo studio, pose in trascuranza la medicina; della qual cosa avvedutosene il padre, ne lo riprese acerbamente, ed il Ricci per questa causa privollo delle consuete lezioni.

Nè pertanto s’arrestò il Galileo, chè fattosi anzi maggior coraggio, fermo propose di scorrere da per sè stesso il primo libro di Euclide, e felicemente vi riuscì. Preso vie più animo, giunse al libro settimo; ed un giorno chiamato a sè il padre fecegli sentire il profitto che fatto avea senza gli ammaestramenti e l’ajuto d’alcuno, ed in così breve spazio di tempo; pregandolo quindi a non volerlo distorre da quello studio, al quale da naturale inclinazione sentivasi chiamato. Preso il genitore da allegrezza e meraviglia, non potè far a meno di non secondare la virtuosa brama del figliuolo.

Abbandonata adunque egli la medicina, percorse velocemente tutte le opere de’ geometri di prima classe, scrisse intorno la fabbrica ed uso di quella sua bilancia per la cognizione della gravità in ispecie delle diverse materie, e della lega de’ metalli ed altre molte cose, che comunicate a’ suoi amici, si resero pubbliche in diverse parti d’Italia e fuori.

Per così fatti ritrovamenti, e perchè liberamente e sensatamente filosofava, s’acquistò fama di alto ingegno. Strinse quindi amicizia per lettere con Guidubaldo de’ Marchesi dal Monte, gran matematico di que’