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fu ancor preso da fortissimi dolori per tutta la persona, e da un insoffribil bruciore nelle palpebre, che gli toglievano ogni sorta di riposo. In questo compassionevole ed infelice stato venivano a lui i suoi più intimi amici, i più illustri personaggi della Toscana, tra i quali il gran duca Leopoldo, e gli somministravano tutti que’ sollievi, che l’umana condizione può avere nell’ultime infermità. Il Viviani, il Torricelli suoi discepoli, fra i primi che si distinsero, tutto operavano onde egli si mantenesse nel suo natural vigore d’animo, e fermezza e tranquillità filosofica. Ma finalmente venne soprappreso da una palpitazione di cuore, e da una febbre, e si fu quella che lenta lenta ne lo condusse a morte il dì 8 Gennajo dell’anno 1641 in età d’anni 78 nella villa d’Arcetri. Il corpo suo fu portato in Firenze per ordine del duca, e fu messo nella sepoltura della nobile famiglia Galilei in Santa Croce.
Da donna greca ebbe un figliuolo e due figlie. Non fu egli ambizioso d’onori: movevasi facilmente all’ira; ma ben tosto placavasi: fu coltivatore della poesia; prediligeva Virgilio, Ovidio, Orazio, Seneca, Petrarca, Ariosto, Tasso ed il Berni. Scrisse egli pure in versi in istile grave e burlesco. Per le sue eminenti virtù venne grandemente onorato, e da’ più illustri letterati consultato intorno a moltissime cose, e da moltissimi principi visitato, ammirato ed avuto in grandissima estimazione. Gli fu innalzata una statua all’ingresso del teatro di fisica in Firenze, della quale un poeta così cantò:
Chi è costui che d’alti pensier pieno
Tanta filosofia porta nel volto?
3È il divin Galileo, che primo infranse
L’idolo antico, e con periglio trasse
Alla nativa libertà le menti.
6Novi occhi pose in fronte a l’uomo; Giove
Cinse di stelle; e, fatta accusa al Sole
Di corrutibil tempra, il locò poi,
9Alto compenso, sopra immobil trono.