avea vissuto con suo padre e con suo avolo, più vecchio del primo, più giovane del secondo; e che suo padre e quel poeta erano stati nel medesimo giorno espulsi dalla lor patria. Poscia confessa, ch’ei non erasi guari curato di averne le poesie, non perchè non le avesse in gran pregio, ma perchè essendosi allor dato a verseggiar volgarmente, temeva di divenir copiatore, se avesse lette le altrui poesie, e avea risoluto di formarsi uno stile che fosse tutto suo proprio e originale. Siegue indi a replicare mille proteste ch’ei non ne è punto invidioso, che stima e apprezza moltissimo quel poeta, e che gli spiace anzi il vederne i versi sì sconciamente sfigurati da coloro che per le vie gli andavano canticchiando. Nel qual parlare però osserva l’ab. de Sade, che vedesi un non so che di sforzato, per cui quanto più il Petrarca si studia di persuaderci che ei non era punto invidioso, anzi che toglierlo, ci accresce il sospetto ch’ei veramente il fosse alquanto; e da ciò ne ricava il medesimo autore, che non è punto probabile che il Petrarca si facesse a scrivere comenti su Dante. Dopo aver recata quasi interamente questa lunghissima lettera, l’ab. de Sade si volge agl’Italiani, e si maraviglia che niuno tra essi abbia fatta di essa menzione, e con un amaro