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VITA DI DANTE. 27

d’amore, ovver precetti morali, ma esposti senza una scintilla di fuoco poetico. Dante fu il primo che ardisse di levarsi sublime, di cantar cose a cui niuno avea ardito rivolgersi, di animare la poesia e di parlare un linguaggio sin allora non conosciuto. Ammiriam dunque in lui ciò che anche al presente è più facile ammirar che imitare; e scusiamo in lui que’ difetti che debbonsi anzi attribuire al tempo in cui visse il poeta, che al poeta medesimo. Io non entrerò qui a rigettare i sogni del p. Arduino che pretese di togliere a Dante la gloria di questo lavoro (Mem. de Trèv. 1717, août), e se pur essi han bisogno di confutazione, ciò è stato già fatto dall’eruditissimo sig. marchese ab. Giuseppe Scarampi ora degnissimo vescovo di Vigevano (Innanzi al t. I. dell’ediz. di Dante in Ver. 1749). Solo non è da omettere che Dante avea cominciata quest’opera in versi latini, e oltre i tre primi versi che il Boccaccio ne recita nella Vita di lui, alcuni codici si conservano che ne hanno un numero anche maggiore (V. Pelli loc. cit. §. 17 p. 111 nota 3). Ma ei fu saggio in mutare consiglio; poichè verisimilmente egli avrebbe ottenuta fama minore assai scrivendo in latino, come è avvenuto al Petrarca.

Appena la Commedia di Dante fu publi-