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anni 1274-1289 | 67 |
Ond’io pover dimoro
In guisa che dire mi vien dottanza.
Sì che volendo far come coloro,
Che per vergogna celan lor mancanza,
Di fuor mostro allegranza,
E dentro da lo cor mi stringo e ploro.»1
Chiosa egli stesso poi scrupolosamente l’autore, che la seconda strofa era per la sua vera donna, e non per l’altra. Ma ad ogni modo, questa volta il sonetto, com’ei lo chiama, è de’ più graziosi; e si vede che in quegli anni corsi dal primo egli era progredito molto nell’arte.
Un’altra volta, per una donna giovane e gentile, lo cui corpo ei vide giacere senza l’anima in mezzo di molte donne, le quali piangevano assai pietosamente, ricordandosi egli d’averla veduta far compagnia alla sua gentilissima, non potè sostenere alquante lagrime; ma piangendo si propose di dire della morte di quella, in guiderdone di ciò che alcuna fiata l’aveva veduta colla sua donna. E così fece due sonetti, l’uno dei quali incomincia con quel verso:
«Piangete amanti poichè piange Amore»