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sagace o gentile apprezzator di uomini. E Dante, dopo aver qualche tempo morso il freno, e provato questo strale di più dell’esilio, il superbissimo Dante se ne liberò senza badare se offendesse, ed offese. Uno de’ Canti del Paradiso fatti colà e mandati a Cane, l’XI, che non è così ne’ de’ primi nè degli ultimi, incomincia con quegli ammirabili versi che sono in fronte al presente capitolo; e che introdotti senza necessità da una spontanea ispirazione, accennano la condizione dell’animo dello scrivente, e debbon dirsi uno sfogo, un canto d’allegrezza dopo aver rimosso da sè, o di fatto o almeno scrivendo, tutte quelle cure de’ mortali ch’ei chiama insensate. E notisi quel riporre fra essi i iura e quel regnar per forza e per sofismi, che inteso o no contro al signore, doveva almeno lasciare un sospetto d’ingiuriosa applicazione nell’animo di lui.
In tutto, qualunque più generale o più precisa interpretazione diasi alle parole di Dante, elle s’accordan troppo colle memorie e co’ documenti, per lasciare il menomo dubbio sulle mutue offensioni, e sul caduto favore dell’esule in corte. Ma Dante n’avea compenso in