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novelle. Vedemmo e vedremo fino all’ultimo, Dante pospor sempre rettamente la vita contemplativa all’attiva, i suoi studii ai carichi carichi datigli dalla sua Repubblica, dalla sua parte, ed anche da’ suoi protettori d’esilio. Ma gli altri, datigli prima e dopo, furono ufficii adeguati a lui: questo non era, nè dovea parergli tale; ed è a dir de’ carichi ciò che dicemmo delle compagnie, che i superbi infelici s’adattan meglio a non averne, che ad averne d’indegni. Ora, di tal sentire di Dante noi abbiamo, non una traccia, ma una prova in quel passo della dedica testè recata; dove si lagna che le strettezze di sua facoltà gl’impediscono gli studii ulteriori; e spera dalla magnificenza di Can Grande d’essere sollevato da tali impedimenti. Furono passate senza attendervi nè spiegarle tali lagnanze e speranze dagli interpreti; ma non potendosi spiegar altrimenti che per qualche carico che usurpasse in modo ingrato il tempo e i pensieri del Poeta, ei debbe spiegarsi per questo di che abbiamo memoria. Adunque, parmi appena da dubitarne: Dante fu fatto giudice in Verona dalla magnificenza del signor Can Grande, che vedemmo così poco