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E s'io al vero son timido amico,
Temo di perder vita tra coloro
Che questo tempo chiameranno antico.
La luce in che rideva il mio tesoro,1
Ch'io lo trovai lì, si fe prima corrusca,
Quale a raggio di sole specchio d'oro.
Indi rispose: coscienza fusca
O della proprio o dell'altrui vergogna,
Pur sentirà la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogni menzogna,
Tutta la tua vision fa manifesta,
E lascia pur grattar dov'è la rogna;2
Che, se la voce tua sarà molesta
Nel primo gusto, vital nutrimento
Lascerà poi quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come 'l vento
Che le più alte cime più percuote;
E ciò non fia d'onor poco argomento.

  1. Ne' commenti della Minerva intepretasi quasi il mio tesoro fosse il trisavolo Cacciaguida; che sarebbe sciocca espressione. Ma si confrontino i versi 31-39 del Canto XV, e si vedrà che il viso di Beatrice era quello che rideva alla luce di Cacciaguida, e così resta da lui chiamata suo tesoro la sua donna, e non il suo nonno.
  2. Questo verso tanto vituperatom, si fa per la sua stessa bassezza , se non poeticamente, ma sotricamente bellom, siccome dispressantissima risposta ai risentimenti de' cortigiani maggiori o minori.