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più intricate e quasi inestricabili allegorie. Sono principali quella dell’Aquila Imperiale, che lascia le penne; e d’una meretrice sedente su un carro, nel quale certo rappresentò Dante la corte d’Avignone; e d’un drudo, il quale la batte, perch’ella rivolge gli occhi a lui Dante, che s’interpreta per Filippo il Bello, sdegnato del barcheggiare o di Bonifazio o di Clemente. Sulle quali allegorie quantunque molto sia stato scritto, molto si potrebbe scrivere ancora; ma sarebbe un fermarsi a ciò che è insieme meno certo e men bello in tutta la Commedia. Finisce poi tutto ciò con queste predizioni di Beatrice:

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Non sarà tutto tempo senza reda
L'aguglia che lasciò le penne al carro,
Perchè divenne mostro, e poscia preda;
Ch'io veggio certamente, e però 'l narro,
a darne tempo già stelle propinque,
Sicure d'ogni intoppo e d'ogni sbarro,
Nel quale un cinque cento dieci e cinque,
Messo di Dio, anciderà la fuja,
E quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion buja,
Qual Temi e Sfinge men ti persuade;
Perchè a lor modo l'intelletto attuja.