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per la brama di veder Beatrice al di là di quelle, ei le attraversa; e sale quinci alla cima del monte, ov’è il Paradiso terrestre, tagliato da Lete fiume dell’oblio. Lungo il quale, mentr’egli sta discorrendo con Matelda che coglie fiori sulle sponde1, apparisce finalmente all’altra sponda su un carro (intorno a cui il Poeta troppo desideroso adunò forse soverchi ornamenti ed allegorie) la tanto annunziata Beatrice: e allora sparisce Virgilio, e Dante passa da momentaneo dolore a gioja infinita, per vergognarsi poi a’ rimprocci ricevuti, e poi pentirsi, e quindi esser tuffato in Lete, e dimenticar sue colpe, e fissare allora gli occhi suoi negli occhi di lei, e da tale sguardo esser tratto dietro lei, che fissando il sole s’innalza alle stelle2.

Mirabile composizione è questa tutta per serenità, unità, proporzione di parti ed accrescimento d’interesse. Se non che, finita così verso la metà del Canto XXXI, si prolunga per due altri Canti e mezzo, ripieni delle

  1. Canti XXVII, XXIX.
  2. Canti XXX, XXXIII.